il fondo del sacco è una cicatrice sulla pancia. trasversale, quasi chirurgica, marziale. non faccio altro che guardarla, la mia pancia. nella torre, solo pietre e pancia. mi ci sono infilata per imparare a disamarvi. qui, alla fine del gioco. se veniste a prendermi, signore, per portarmi via, non è detto che poterei a compimento questo processo. inciamperei nella treccia. e invece di porgervela, cascherei dalla finestra. volerei sperando che le vostre braccia abbiano voglia di prendermi e di portarmi a casa. non dico nella casa che fu, quella è andata a fuoco (potrei portarvi ad ammirarne le fondamenta, le ceneri, o il ciliegio ancora in fiamme). in una casa in cui credere sia possibile di nuovo, con le tende ocra o bordeaux. se le vostre braccia mi tirassero fuori prendendomi per la nuca. fuori di qui. e invece il battente se ne sta lì, zitto e mosca. se mi svegliaste con un bacio che non fosse un'estorsione e mi prendeste in braccio. io non avrei paura come adesso. ora che i tuoni mi rimbombano lungo la schiena e tremo come una farfalla. la luce, la gente, il panico, il giaciglio, la sauna degli incubi del mattino. fosse possibile ricominciare tutto da capo. da quel giono in cui tutto era possibile. non giocare alla roulette russa. correre sul filo senza chiedersi se c'è la rete. precipitare ridendo. non essere sicura, oggi, che resterete a bere long island con il drago. invece di salvarci.