c'era una volta in cui le favole cominciavano e finivano in un momento preciso. fino al giorno in cui il narratore dispettoso invertì re mida. qualunque cosa toccasse diventava sbagliata, contraria e ritrosa. scatenava contro di sé ogni sorta di tempesta, persino quelle del silenzio. afferrava o sfiorava: non cambiava niente. se solo si azzardava a non dire: sto male, sgretolava la pazienza nelle mani degli altri. innervosiva le cose che gli davano sollievo, ne esasperava la comprensione. che fosse malato, sereno o disperato, trasformava il piacere in un mostro. era pericoloso: andava recluso. nei circoli viziosi, nelle carceri delle parole, nelle spirali a senso unico. venne preso e condannato al macello del treno dei desideri. legato, triplo nodo carpiato, alla strada arrugginita. ridotto al prurito delle mani, in preda ai propri sogni, via via più miserabili. se tutto ciò che tocco diventa merda, non voglio più niente. il che non basta, certo, per non essere desiderati. vuoi toccarmi? diventi merda. non posso farci niente, non lo desidero neanche più. e lo so che mancherai come se ci fossimo toccati per davvero, mentre andrai via con una bestemmia tra i denti. farò di nuovo i conti con i futili motivi, maledirò il signore invisibile che manovra i miei silenzi e sguardi. ma non avrò altro io, all'infuori di me, a prendersi cura e la briga di capire. aspetterò con ansia crescente il fischio, il fracasso e poi più niente. c'era una volta una fiaba rotta, che non stava in piedi. non poteva neanche essere raccontata, perché sopravvissero quasi tutti felici e contenti.