rivincere l'istinto di chiudere gli occhi quando un camion mi taglia la strada. ritenerli aperti e fissi nei tuoi: la maggiore paura possibile. riprendere l'istinto di contare il tempo che manca, quello che è trascorso, quello di frenata. rimordere la mancanza di coraggio che non mi ha fatto dirti tutto. risentire l'esatto timbro di dolore delle tue spalle che varcano la soglia. riprovare le cose che abbiamo fatto e sbagliarle molto meglio di così. riscattarci senza essere così attenti alle conseguenze. rilanciare il cuore oltre l'oracolo che ci voleva perdenti liquidi e trofei. riparare sotto il tuo sterno e lasciarci andare sempre, senza farlo mai del tutto. ripiegare nelle scorciatoie intruse delle reti di sicurezza, delle convenzioni, della noia. riportare l'essenziale agli indugi che abbiamo esagerato. ritirare l'imbarazzo che ci ha beccati con lo sguardo nella marmellata, esplicitarlo prima che ci separasse. ripagare lo scotto dei desideri in fiamme e quello gelido dell'assenza. ricavare farfalle dai bruchi e non averne paura. rilasciarci scorrere, come quell'acqua nel fossato del castello (che era immobile e lui invisibile, fino a che stavamo a labbra staccate). riposare piano, come la pigrizia del silenzio in cui mi sei sempre mancato. rimandare lo schianto con il camion, per i baci lenti e la sete che hanno sempre avuto senza saperlo. riguardarti guardarmi, e poco altro. ricorrere a questi mezzucci per affondare il piede sul freno e tornare da te, che sei tutti i miei sorsi, nonostante tutto. rinvenire a te, come se fossi casa.