incespicando nel ritorno, ho preso una decisione. finalmente. e che decisione. mica una qualunque. ho deciso che non avrei più consentito alle parole di andarsene in giro e di lasciarsi trasformare in menzogne da quegli occhi. perchè succede ogni volta. la decisione di un silenzio ostinato, di un'esasperazione. io: l'analogo ragionante di una statua. non un cedimento, non un briciolo d'espressione. una resa evidente. cosa cazzo vogliono ancora, da me, la felicità o il compimento delle mie visioni impossibili? mi torturano. mi emozionano. me ne vado a letto e mi autocensuro, le lenzuola viola, poi. no. naso nel cuscino. dormi e non sognare. non ci sarà nessuna macchinetta del caffè. spremiagrumi, poi. no. e i tramonti, saranno tutti per caso. non sognare. vuoi metterti ora a fare quella che non ha paura di condividere? ombra stucchevole. e poi cos'è che vuoi mettere in condivisione? c'è solo tutto quello che non hai. basta elemosinargli gli occhi. per l'ennesima volta, basta. lievi inflessioni nella voce, magari una mano che tremola. mi bastano. mi fanno impazzire. e a lui, a volte, gl'impazzisce il cuore. sì ma suo malgrado. basta, che te ne frega se ha un cuore o no. io lo so che c'è. lo sento. non capite niente. sì ma stai zitta lo stesso. e dopo il silenzio, l'assenza. verrà da sé, liscia come l'olio. sparirai senza neanche rendertene conto. tutto questo, mentre tornavo a casa. fino all'angolo in cui avrebbe dovuto esserci, se ci fosse stato.. sì. c'era. calma, ancora una sigaretta. ma è mancato tanto. sì ma calma, il silenzio, ricordi? una sigaretta. ah sì, così prolungo la goduria. no, così la smetti. tutto questo e intanto ero a casa. con le solite menzogne e una voglia insana di portargli a letto un vassoio di legno, con la colazione. quello che ho comprato solo per lui e che marcisce negli stipi del mio terrore. di perderlo per davvero.